Le facciate di case e palazzi sono piene di ferite aperte. I fori delle mitragliatrici e le chiazze bianche del calcestruzzo usato per coprire i vuoti creati dalle bombe, sembrano costellazioni immaginarie disegnate su tutto il territorio della Bosnia.
La memoria, malgrado il tempo trascorra inesorabilmente, è intrisa di cicatrici, ma non è la distruzione a richiamare alla mente l’orrore della guerra, né soltanto il dolore per le perdite subite, piuttosto il tentativo quotidiano di recuperare migliaia di identità nascoste, molte forse perdute per sempre. A 20 anni di distanza dall'inizio del conflitto in Bosnia ed Erzegovina, si cercano ancora 10 mila esseri umani svaniti nel nulla. Intrecciando un lavoro di documentazione visiva con la mia esperienza personale, nell'arco degli ultimi 4 anni ho tentato di raccontare la vita dopo la morte, in un viaggio tra le pulsioni più pure e brutali dell'animo umano. Dall’enclave “protetta” di Srebrenica, scenario del più grande massacro compiuto su territorio europeo dopo la seconda Guerra mondiale, a Cerska, dove è stata decimata una popolazione di contadini costretta a resistere con fucili e maceti ai colpi di mortaio e alle granate serbe, fin giù alla valle della Drina, l’eccidio operato dalle forze serbo – bosniache ha lasciato segni indelebili nei luoghi e nei volti della popolazione. I risentimenti, insieme a una presunta incompatibilità, ma anche i luoghi comuni, le amicizie, i matrimoni misti e lo humor nero per me rappresentano le radici di queste popolazioni balcaniche, apparentemente spigolose e dure nello sguardo, ma anche estremamente gentili, ospitali e dirette. Al calderone del dimenticatoio costituito dal fugace immaginario collettivo nutrito dai media, ho deciso di contrapporre quindi l'importanza delle piccole storie e il mio modo di vedere la cultura bosniaca, all'interno di quel periplo di popoli e culture che da sempre costituivano l'anima di una nazione multietnica. Non è stato facile avere un'infanzia in Bosnia. I bambini sono cresciuti in fretta. Hanno lottato per sopravvivere. Molti di loro vivono secondo le leggi della strada, più o meno consapevolmente influenzati dal "mito" dei profittatori di guerra e dal miraggio di un guadagno facile, dove la legge del più forte sembrava essere l'unica regola possibile. Alcuni sognano di migliorare il loro paese, altri di abbandonarlo. Entrando in punta di piedi nella quotidianità di moltissime persone, la mia è stata più che altro una condivisione di visioni e ricordi, alcuni vissuti realmente, altri soltanto immaginati. Così nelle sfumature del bianco e nero, tra emozioni congelate, la Bosnia resta bloccata in una transizione ancora presente tra passato e futuro, con le parti mancanti del puzzle dell'identità bosniaca, perse o soltanto smarrite tra le ceneri dell'ex Jugoslavia.
Un uomo passeggia nel centro cittadino durante una nevicata invernale. Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2010. © Matteo Bastianelli
Una vecchia casa sopravvissuta ai bombardamenti. Šekovici, Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, 2009. © Matteo Bastianelli
Due donne sopravvissute a un massacro avvenuto durante la guerra in Bosnia. Cerska, Repubblica Serba di Bosnia Erzegovina, 2009. © Matteo Bastianelli
Un orologio ritrovato in una fossa comune. Tuzla, Bosnia ed Erzegovina, 2009. © Matteo Bastianelli
Un bambino con problemi psichici nato nel dopoguerra. Cerska, Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, 2009. © Matteo Bastianelli
Un uomo mostra il suo AK 47 Kalashnikov, detenuto nella camera della figlia di 5 anni. Molte famiglie tengono ancora armi ed equipaggiamenti militari in casa per la paura che possa scoppiare nuovamente un conflitto nei Balcani. Cerska, Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, 2009. © Matteo Bastianelli
Emina Kurtalic, capo progetto nel centro di identificazione ICMP, spinge il carrello elevatore per sistemare una salma nella cella frigorifera. Tuzla, Bosnia ed Erzegovina, 2010. © Matteo Bastianelli
Una vedova nella sua abitazione. Cerska, Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, 2009. © Matteo Bastianelli
Una Chiesa ortodossa costruita senza la necessaria autorizzazione sul territorio di una cittadina musulmana. Si ipotizza che sotto il basamento della Chiesa sia nascosta una grande fossa comune. Konjević Polje, Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, 2009. © Matteo Bastianelli
Tre bambini giocano nel centro della cittadina. Gorazde, Bosnia ed Erzegovina, 2010. © Matteo Bastianelli
I resti umani di 37 persone ritrovate in una fossa comune. 25 degli scheletri risultavano incompleti di arti o teschi. Šekovici, Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, 2010. © Matteo Bastianelli
Uno dei più anziani sopravvissuti al genocidio perpetrato dalle milizie serbo-bosniache. Potočari, Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, 2010. © Matteo Bastianelli
Una vedova guarda l'immagine dei suoi figli, uccisi nei giorni del genocidio di Srebrenica. In questa foto i suoi figli sono ritratti insieme ad alcuni caschi blu dell'ONU, i soldati incaricati di proteggere la popolazione di Srebrenica. Srebrenica, Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, 2010. © Matteo Bastianelli
Una protesi insieme ad altri oggetti sul tavolo nel soggiorno di casa di Adis Smajic. Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2010. © Matteo Bastianelli
Naida Vreto Smajic nell'abitazione in cui vive insieme a Adis. Sarajevo, Bosnia e Erzegovina 2012. © Matteo Bastianelli
Adis scrive il suo soprannome: "Topa", che in lingua bosniaca rappresenta sia un modo di essere che un tipo di formaggio. I suoi amici spesso dicono: "Topa è pazzo". Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2010. © Matteo Bastianelli
Adis Smajic in uno studio di registrazione. Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2011. © Matteo Bastianelli
Una veduta della città. Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2009. © Matteo Bastianelli
Adis Smajic e Naida Vreto Smajic a Dobrinja, il quartiere in cui vivono, vicino l'ex linea del fronte alla periferia di Sarajevo. Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2011. © Matteo Bastianelli
Monela Mulabdic, 24 anni, nata da padre musulmano e madre ortodossa, al lavoro nell'hotel di famiglia. Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2010. © Matteo Bastianelli
Giovani e famiglie al lago di Jablanicko. Jablanica, Bosnia ed Erzegovina, 2011. © Matteo Bastianelli
Nihad Bostandja, membro di una piccola gang di Sarajevo, in vacanza in Croazia. Gradac, Croazia, 2010. © Matteo Bastianelli
Prova di forza tra Tarik e un altro ragazzo. Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2010. © Matteo Bastianelli
Le conseguenze di una sparatoria nel centro di Skenderja. Due criminali armati di kalashnikov hanno aperto il fuoco mentre dei poliziotti tentavano di fermare uno scambio di droga. Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2010. © Matteo Bastianelli
Alia Bostandja, padre di Nihad, davanti alla sua abitazione. Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2011. © Matteo Bastianelli
Nihad e gli altri membri della gang, parlano con un poliziotto nella sala di attesa dell'ospedale di Sarajevo, mentre uno dei loro amici subisce un'operazione dopo essere stato ferito in una sparatoria. Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2010. © Matteo Bastianelli
Nihad sulla tomba del suo amico Deniz, ucciso nel 2008 da un colpo di pistola. Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2011. © Matteo Bastianelli
Nihad in un bar del centro. Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2011. © Matteo Bastianelli
Cimeli di guerra venduti nelle strade del centro storico. Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2010. © Matteo Bastianelli
Elvedina Mirvic cucina dei cevapcici, piatto tradizionale dei Balcani. Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2011. © Matteo Bastianelli
Tarik finge di sparare a un suo "rivale", mentre Nihad, Buqva e Djenan guardano la scena. Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2010. © Matteo Bastianelli
Alcune bambine provenienti da una scuola di Cerska, un villaggio a pochi chilometri di distanza da Srebrenica, in gita a Sarajevo nell'ambito di un programma di adozione a distanza e animazione svolto da una ONG. Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2009. © Matteo Bastianelli
Un edificio vicino l'Ospedale pediatrico bombardato durante i 4 anni di assedio della capitale bosniaca. Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2009. © Matteo Bastianelli
Una donna nel cortile della sua abitazione. Cerska, Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, 2009. © Matteo Bastianelli
Alcuni uomini trasportano le bare contenenti i resti dei loro cari al memoriale di Srebrenica, la città dove furono trucidati almeno 8 mila musulmani. Potočari, Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, 2010. © Matteo Bastianelli
Due ragazzi in un pub del centro. Si autodefiniscono "cetnici" e chiedono la separazione della Repubblica Serba dalla Bosnia. Pale, Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, 2010. © Matteo Bastianelli
I familiari delle vittime accanto ai resti dei loro cari, contenuti nelle 775 bare allineate all'interno del quartier generale dei soldati dell'Onu che avevano il compito di proteggere la popolazione di Srebrenica. Potočari, Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, 2010. © Matteo Bastianelli
Il Cimitero del Leone con la tomba di Alija Izetbegović. Prima della guerra era un giardino pubblico dove si davano appuntamento gli innamorati, poi è stato trasformato in un cimitero musulmano, come tante altre parti della città. Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, 2010. © Matteo Bastianelli
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THE BOSNIAN IDENTITY (2009-2012)
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